Barbarossa, flop a spese nostre
Tra le tante voci di spesa, ci sono 400 costumi, 100 carri falcati, 200 armature (perfette riproduzioni realizzate in India), 4.550 cavalli, 12 mila comparse, più i cachet degli attori, incluso Raz Degan nei panni di Alberto da Giussano. E tutto il resto, naturalmente. Spesa finale: 30 milioni di dollari, compresa la postproduzione per le 800 scene trattate con effetti speciali digitali.
Chi ha pagato? Al 60 per cento imprenditori privati vicino alla Lega, al 40 per cento la Rai: 12 milioni di euro di soldi dei contribuenti, quindi, a pesare sul bilancio già drammaticamente in rosso della tivù pubblica.
Soldi che, ormai è certo, non torneranno mai indietro: nei cinema "Barbarossa" è un flop e l'incasso dei botteghini - secondo le previsioni - non coprirà nemmeno un terzo delle spese sostenute.
L'ultimo spreco di denaro pubblico ha un nome e cognome preciso: Umberto Bossi, capo della Lega e grande sponsor politico del progetto, nonchè amico personale del regista e pure presente in un cameo nella pellicola di Renzo Martinelli.
Berlusconi insomma ha usato la Rai (che imporrà il film in due puntate anche sul piccolo schermo) per tenersi buono l'alleato di governo, a spese nostre.
Dev'essere questo il famoso "Roma ladrona", lo slogan con cui la Lega ha mosso i suoi primi passi fino ad arrivare direttamente a usufruire del bottino.
Fonte
martedì 27 ottobre 2009
mercoledì 21 ottobre 2009
sabato 17 ottobre 2009
Frammenti di pillola rossa
Nessuna esposizione di pensiero. Solo l'invito a pensare con la propria testa e trarre le proprie personali conclusioni.
Parte 1
Fonte parte 1
Parte 2
Fonte parte 2
Parte 1
Fonte parte 1
Parte 2
Fonte parte 2
mercoledì 7 ottobre 2009
Siamo stati spiati per 7 anni. Tutti!
Internet, navigatori spiati per 7 anni
registrata ogni visita a qualunque sito
Tutto il traffico 'catturato' da quattro grandi aziende di telecomunicazione
"Gli italiani un popolo rassegnato ad essere intercettato o controllato"
La privacy? Dice un dirigente dell'autorità garante: "Chiunque tra il 2001 e l'inizio del 2008 abbia usato la rete internet deve sapere che quattro tra i maggiori fornitori di accesso del paese (Telecom Italia, Vodafone, Wind e H3g) quattro compagnie di telecomunicazione, hanno registrato tutto il traffico di quegli anni. Non tutti lo facevano con la stessa profondità, e lo abbiamo specificato nei nostri provvedimenti del 17 gennaio 2008. Non è nemmeno detto che lo abbiano fatto in modo continuo dal primo all'ultimo giorno. Però quella raccolta di dati avveniva e il pretesto era che bisognava tenersi pronti per rispondere alle richieste dell'autorità giudiziaria. Il punto è che raccogliere i dati personali in quel modo e con quella rozzezza espone gli stessi investigatori ad errori e valutazioni sbagliate".
Insomma, cari utenti di internet di quegli anni, siete avvertiti: da qualche parte esisteva (e "dovrebbe" non esistere più) un complesso sistema di grossi hard disk sui quali c'erano gli indirizzi (URL) di tutte le nostre pagine internet visitate. "Tutte, ma proprio tutte". Più le password che immettevate per entrare nella vostra mail, i codici di accesso alla banca (se il sistema non era protetto) e anche sì, la password di quel sito un po' scollacciato che ogni tanto allieta una vostra serata un po' uggiosa. Per non parlare di chat e messaggi posta. Tutto era "captivato" e tutto era leggibile.
Ora, dal gennaio del 2008 non lo è più (e sì che resistenze da parte di magistratura e apparati di polizia, perché si continuasse con la rete a strascico, ce ne sono state). Non solo: in Italia è stato anche adottato il sistema dello "Ip univoco" che rappresenta un passo avanti in materia - in Inghilterra, dopo gli attentati del 2005, è successo qualcosa di simile e su scala più ampia.
Domanda: ma quelle informazioni sono poi state davvero distrutte? Questo non lo sa nessuno, ma il funzionario dice che non ha motivo di ritenere che non lo siano state. E il problema della traccia e della completa tracciabilità elettronica delle nostre vite resta, ma non è detto che sia irrisolvibile.
L'ingegner Cosimo Comella è il dirigente dell'Autorità per la protezione dei dati personali che ha detto queste ed altre cose al seminario organizzato a Roma dal "Pasion", un progetto sulla protezione dei dati finanziato dall'Unione europea proprio nella sede dell'Autorità, con la presenza sia dell'attuale (Francesco Pizzetti) che del primo presidente (Stefano Rodotà). Comella ragiona che il pubblico e i media si indignano o si allarmano per questioni anche superficiali: "Non mi spiego perché il nostro provvedimento del 2008 che mise fine a quella situazione fu sostanzialmente ignorato dai giornali". Ma qui si apre un capitolo assai grosso: la sensibilità di ognuno di noi al tema "protezione dei dati", non privacy, come prega di dire il presidente Pizzetti.
Perché siamo forse un paese rassegnato: non solo al traffico, all'evasione fiscale e all'esistenza della mafia. Ma anche all'idea che contro la violazione delle nostre vite non si può fare niente. Risulta da un'indagine di opinione mostrata al workshop. Così guardiamo con rassegnazione al fatto che le aziende, ormai in modo dichiarato, facciano indagini attraverso Google sulle persone che presentano una domanda di assunzione. Lo fanno, non è un mistero. "E' ormai diventato quasi inutile avere un curriculum" dice il garante Pizzetti, "Quella è solo la nostra versione della nostra vita, poi sarà messa al vaglio di motori e social netwiork".
Noi italiani siamo rassegnati all'idea che internet sia intercettata e studiata in un modo che ci indignerebbe per qualsiasi altro mezzo. Eppure succede ben altro che l'intercettazione malandrina. E accettiamo in modo supino che la politica pensi e legiferi alla rete senza rendersi conto di cosa sta maneggiando. Pizzetti e Rodotà si esprimono in modo diverso, ma le loro analisi portano esattamente a questo punto: che governi e parlamenti ricorrono a controlli e censure sempre più approfonditi e indiscriminati perché di fatto non conoscono l'oggetto di cui parlano.
Si può far qualcosa per impedire che un datore di lavoro ci studi su Google e scopra che dieci anni fa, dopo una festa di laurea, ci siamo fatti uno spinello? Non si può fare molto. E se la misura - sostiene Rodotà - è solo l'autocensura, ne deriva un danno devastante della libertà personale e di espressione. Perché se sappiamo di essere spiati cambiano anche i nostri pensieri".
Invece si può fare molto perché la nostra posta non sia spiata, perché le nostre "pagine viste" non siano spiate da chi non deve, perché il nostro comportamento non diventi solo e soltanto il grano che viene macinato nei mulini del "marketing comportamentale" sul quale vengono investiti milioni di dollari ed euro ogni anno.
Si può fare qualcosa e una delle risposte è nel lavoro dei crittografi. La crittografia è una branca della matematica coltivata da pochi, che viene chiamata in causa solo quando si parla di cose militari. Ma che potrebbe - è l'argomento di Giuseppe Bianchi, matematico e crittografo all'università Roma 2, che lavora in vari progetti Ue - trovare soluzioni concrete ed efficaci: possiamo avere uno "pseudonimo" registrato, che permetta di "mostrare al vigile la patente senza dire il proprio nome". Si può pensare a messaggi di posta che dopo un certo periodo si autodistruggano scomparendo dalla disponibilità di spioni e ficcanaso. Si può pensare a sistemi che controllino chi scarica abusivamente contenuti coperti da copyright senza frugare nell'attività online della persona. Serve una politica avvertita e colta. E un'opinione pubblica che non dica: "Non c'è niente da fare".
Articolo di VITTORIO ZAMBARDINO su repubblica.it
Fonte
registrata ogni visita a qualunque sito
Tutto il traffico 'catturato' da quattro grandi aziende di telecomunicazione
"Gli italiani un popolo rassegnato ad essere intercettato o controllato"
La privacy? Dice un dirigente dell'autorità garante: "Chiunque tra il 2001 e l'inizio del 2008 abbia usato la rete internet deve sapere che quattro tra i maggiori fornitori di accesso del paese (Telecom Italia, Vodafone, Wind e H3g) quattro compagnie di telecomunicazione, hanno registrato tutto il traffico di quegli anni. Non tutti lo facevano con la stessa profondità, e lo abbiamo specificato nei nostri provvedimenti del 17 gennaio 2008. Non è nemmeno detto che lo abbiano fatto in modo continuo dal primo all'ultimo giorno. Però quella raccolta di dati avveniva e il pretesto era che bisognava tenersi pronti per rispondere alle richieste dell'autorità giudiziaria. Il punto è che raccogliere i dati personali in quel modo e con quella rozzezza espone gli stessi investigatori ad errori e valutazioni sbagliate".
Insomma, cari utenti di internet di quegli anni, siete avvertiti: da qualche parte esisteva (e "dovrebbe" non esistere più) un complesso sistema di grossi hard disk sui quali c'erano gli indirizzi (URL) di tutte le nostre pagine internet visitate. "Tutte, ma proprio tutte". Più le password che immettevate per entrare nella vostra mail, i codici di accesso alla banca (se il sistema non era protetto) e anche sì, la password di quel sito un po' scollacciato che ogni tanto allieta una vostra serata un po' uggiosa. Per non parlare di chat e messaggi posta. Tutto era "captivato" e tutto era leggibile.
Ora, dal gennaio del 2008 non lo è più (e sì che resistenze da parte di magistratura e apparati di polizia, perché si continuasse con la rete a strascico, ce ne sono state). Non solo: in Italia è stato anche adottato il sistema dello "Ip univoco" che rappresenta un passo avanti in materia - in Inghilterra, dopo gli attentati del 2005, è successo qualcosa di simile e su scala più ampia.
Domanda: ma quelle informazioni sono poi state davvero distrutte? Questo non lo sa nessuno, ma il funzionario dice che non ha motivo di ritenere che non lo siano state. E il problema della traccia e della completa tracciabilità elettronica delle nostre vite resta, ma non è detto che sia irrisolvibile.
L'ingegner Cosimo Comella è il dirigente dell'Autorità per la protezione dei dati personali che ha detto queste ed altre cose al seminario organizzato a Roma dal "Pasion", un progetto sulla protezione dei dati finanziato dall'Unione europea proprio nella sede dell'Autorità, con la presenza sia dell'attuale (Francesco Pizzetti) che del primo presidente (Stefano Rodotà). Comella ragiona che il pubblico e i media si indignano o si allarmano per questioni anche superficiali: "Non mi spiego perché il nostro provvedimento del 2008 che mise fine a quella situazione fu sostanzialmente ignorato dai giornali". Ma qui si apre un capitolo assai grosso: la sensibilità di ognuno di noi al tema "protezione dei dati", non privacy, come prega di dire il presidente Pizzetti.
Perché siamo forse un paese rassegnato: non solo al traffico, all'evasione fiscale e all'esistenza della mafia. Ma anche all'idea che contro la violazione delle nostre vite non si può fare niente. Risulta da un'indagine di opinione mostrata al workshop. Così guardiamo con rassegnazione al fatto che le aziende, ormai in modo dichiarato, facciano indagini attraverso Google sulle persone che presentano una domanda di assunzione. Lo fanno, non è un mistero. "E' ormai diventato quasi inutile avere un curriculum" dice il garante Pizzetti, "Quella è solo la nostra versione della nostra vita, poi sarà messa al vaglio di motori e social netwiork".
Noi italiani siamo rassegnati all'idea che internet sia intercettata e studiata in un modo che ci indignerebbe per qualsiasi altro mezzo. Eppure succede ben altro che l'intercettazione malandrina. E accettiamo in modo supino che la politica pensi e legiferi alla rete senza rendersi conto di cosa sta maneggiando. Pizzetti e Rodotà si esprimono in modo diverso, ma le loro analisi portano esattamente a questo punto: che governi e parlamenti ricorrono a controlli e censure sempre più approfonditi e indiscriminati perché di fatto non conoscono l'oggetto di cui parlano.
Si può far qualcosa per impedire che un datore di lavoro ci studi su Google e scopra che dieci anni fa, dopo una festa di laurea, ci siamo fatti uno spinello? Non si può fare molto. E se la misura - sostiene Rodotà - è solo l'autocensura, ne deriva un danno devastante della libertà personale e di espressione. Perché se sappiamo di essere spiati cambiano anche i nostri pensieri".
Invece si può fare molto perché la nostra posta non sia spiata, perché le nostre "pagine viste" non siano spiate da chi non deve, perché il nostro comportamento non diventi solo e soltanto il grano che viene macinato nei mulini del "marketing comportamentale" sul quale vengono investiti milioni di dollari ed euro ogni anno.
Si può fare qualcosa e una delle risposte è nel lavoro dei crittografi. La crittografia è una branca della matematica coltivata da pochi, che viene chiamata in causa solo quando si parla di cose militari. Ma che potrebbe - è l'argomento di Giuseppe Bianchi, matematico e crittografo all'università Roma 2, che lavora in vari progetti Ue - trovare soluzioni concrete ed efficaci: possiamo avere uno "pseudonimo" registrato, che permetta di "mostrare al vigile la patente senza dire il proprio nome". Si può pensare a messaggi di posta che dopo un certo periodo si autodistruggano scomparendo dalla disponibilità di spioni e ficcanaso. Si può pensare a sistemi che controllino chi scarica abusivamente contenuti coperti da copyright senza frugare nell'attività online della persona. Serve una politica avvertita e colta. E un'opinione pubblica che non dica: "Non c'è niente da fare".
Articolo di VITTORIO ZAMBARDINO su repubblica.it
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domenica 4 ottobre 2009
Chiedete scusa e subito dopo dimettetevi!
I nostri turisti del Parlamento sono riusciti a perdere anche quando avevano la vittoria in pugno.
La cosiddetta opposizione - dopo aver disertato i banchi del parlamento anche poche ore prima, facendo sfumare l'occasione di bocciare lo scudo fiscale attraverso una mozione di costituzionalità presentata dall'IDV - aveva la possibilità di far andare sotto la maggioranza di governo in un voto di fiducia (lo scudo fiscale) facendo apparire l'eventualità della caduta del Governo Berlusconi e la possibilità di poter tornare alle urne per rinnovare il Parlamento. Ma i signori dell'opposizione erano assenti in aula in numero sufficiente da battere anche le assenze, numerosissime, della maggioranza di Governo, riuscendo così a perdere - e far perdere agli italiani - una grossissima occasione per mandare a casa questo penoso Governo Berlusconi.
Assenti: 24 Parlamentari del PD; 7 dell'UDC; 1 dell'IDV. Per vincere bastavano 20 voti.
Tutti questi signori assenti accampano ora scuse per giustificare quello che non si può. Chi era ammalato doveva andare comunque a votare, ci sono persone che lavorano davvero, che vanno al lavoro anche con 38 di febbre; chi era in missione non doveva andarci, quando c'è un voto di fiducia in Parlamento si deve essere presenti, è per questo che si è stati eletti.
Questi signori, e a tutti quelli che in qualche modo giustificano dette assenze, dovrebbero fare una sola cosa: chiedere scusa, ed un secondo dopo dimettersi e togliersi dalle scatole per sempre.
Questo l'elenco degli assenti:
24 PD: Argentin, Binetti, Bucchino, Capodicasa, Carra, Codurelli, D'Antoni, Esposito, Farina, Fioroni, Gaione, Ginefra, Giovanelli, Grassi, La Forgia, Lanzillotta, Madia, Mastromauro, Melandri, Misiani, Pistelli, Pompili, Porta, Portas.
7 UDC: Bosi, Ciccanti, Drago, Libè, Pisacane, Ruggeri, Volontè.
1 IDV: Misiti.
Ecco le imbarazzanti, surreali e deliranti giustificazioni di D'Alema, e non solo, che tenta di minimizzare il proprio, e l'altrui, assenteismo
La cosiddetta opposizione - dopo aver disertato i banchi del parlamento anche poche ore prima, facendo sfumare l'occasione di bocciare lo scudo fiscale attraverso una mozione di costituzionalità presentata dall'IDV - aveva la possibilità di far andare sotto la maggioranza di governo in un voto di fiducia (lo scudo fiscale) facendo apparire l'eventualità della caduta del Governo Berlusconi e la possibilità di poter tornare alle urne per rinnovare il Parlamento. Ma i signori dell'opposizione erano assenti in aula in numero sufficiente da battere anche le assenze, numerosissime, della maggioranza di Governo, riuscendo così a perdere - e far perdere agli italiani - una grossissima occasione per mandare a casa questo penoso Governo Berlusconi.
Assenti: 24 Parlamentari del PD; 7 dell'UDC; 1 dell'IDV. Per vincere bastavano 20 voti.
Tutti questi signori assenti accampano ora scuse per giustificare quello che non si può. Chi era ammalato doveva andare comunque a votare, ci sono persone che lavorano davvero, che vanno al lavoro anche con 38 di febbre; chi era in missione non doveva andarci, quando c'è un voto di fiducia in Parlamento si deve essere presenti, è per questo che si è stati eletti.
Questi signori, e a tutti quelli che in qualche modo giustificano dette assenze, dovrebbero fare una sola cosa: chiedere scusa, ed un secondo dopo dimettersi e togliersi dalle scatole per sempre.
Questo l'elenco degli assenti:
24 PD: Argentin, Binetti, Bucchino, Capodicasa, Carra, Codurelli, D'Antoni, Esposito, Farina, Fioroni, Gaione, Ginefra, Giovanelli, Grassi, La Forgia, Lanzillotta, Madia, Mastromauro, Melandri, Misiani, Pistelli, Pompili, Porta, Portas.
7 UDC: Bosi, Ciccanti, Drago, Libè, Pisacane, Ruggeri, Volontè.
1 IDV: Misiti.
Ecco le imbarazzanti, surreali e deliranti giustificazioni di D'Alema, e non solo, che tenta di minimizzare il proprio, e l'altrui, assenteismo
giovedì 1 ottobre 2009
Lo scudo alle mafie e agli evasori
Questo scudo fiscale oltre ad essere un aiuto alle mafie e agli evasori di peggior risma, è anche e soprattutto uno stupro della dignità delle persone che le tasse le paga regolarmente, ed è anche per rispettare questa legalità che - probabilmente, per non dire sicuramente - la maggior parte di esse non arriva a fine mese. A questo punto, se Lei firma Presidente, conviene non pagarle più.
Ossequi.

Ossequi.
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